Santità versus salute - Tristana Dini

Le sante si soffermano sulla sventura, sugli stati miserabili in cui il potere le caccia, non li fuggono. Assumono la propria sventura non per adagiarvisi, per rientrare nel conto ricavandone una illusoria soddisfazione, ma per riaprire accessi alla verità. In questo senso le donne, oggi, non sono sante in quanto donne, ma solo in quanto ancora desiderano desiderare, resistono, pensano.

Il neo-liberismo favorisce ovunque l’inclusione delle donne nella società. Le competenze femminili, soprattutto riguardo alla riproduzione e alla cura del vivente, vengono valorizzate sempre più. Viene premiato un febbrile attivismo, un funzionare, un adattarsi ad ogni situazione, una valorizzazione a tutto campo di sé, dei corpi, delle esperienze, delle relazioni, viene assorbita la capacità femminile di tenere insieme gli elementi più disparati del quotidiano, un certo dono per la concretezza e per l’’oikonomia’. Giovani donne si fanno imprenditrici di sé stesse per offrire in ogni sfera della propria esistenza la migliore prestazione. Seguono l’imperativo di essere ‘professioniste’ flessibili, ma anche madri modello, procreatrici in salute, compagne desiderose e trasgressive, attente in tutto ai propri corpi, a valorizzare la propria ’femminilità’. E che fatica aderire ai nuovi stereotipi del femminile, più vari e complessi di quelli delle nostre madri. Bisogna scegliere tra le tante immagini, stili, modi d’essere, identità preconfezionate (Angela amava chiamarli ‘pacchetti’). E poi inseguire un’identità correndo dall’estetista per l’ultimo pirsing, dal parrucchiere per il colore più alla moda, scapicollarsi in palestra, seguire la dieta più recente, la moda più originale, fino a perdersi in dettagli infiniti. Meraviglie dell’anatomopolitica dei corpi ... sempre più interne ad una biopolitica della mulier oeconomica! Ancora una volta il dispositivo di sessualità appare come il punto in cui anatomopolitica dei corpi e biopolitica della specie si annodano. E la singolarità sparisce, scompare la ecceitas, scompaiono i corpi (con tutto quello che possono) per lasciare posto ad identità di genere sempre più frammentate e caotiche, ma non per questo meno predeterminate.

Di nuovo sembra mancare una stanza tutta per sé, o forse un tempo tutto per sé. Sembra di non averne più di tempo, ch’esso si consumi, nel vortice ininterrotto della consunzione di sé e delle relazioni. Anche queste ultime essendo prese nella stretta neoliberista: l’amicizia è messa a lavoro, le relazioni tra donne sono messe a lavoro. In questo modo vengono assorbite perfino alcune delle pratiche più dirompenti del femminismo. Ma di questo assorbimento non bisogna avere paura. Esso è solo il segno che si era individuata la giusta posta in gioco del potere. Solo, ora bisogna rilanciare, innanzitutto registrando i punti sui quali tale assorbimento è avvenuto. E avendo la capacità di ascoltare il dolore sempre più diffuso per il sentirsi risucchiate in una vita non propria. La capacità di fermarsi. Interrompere la corsa. Ascoltare quel sole nero da cui si fugge. Occorre partire da questo dolore, frutto della posizione temibile delle donne nel neoliberismo e nel biopotere, per riattivare desideri interrotti, rigiocare libertà femminile. Questo potere che agisce sul vivente, che fa presa sui corpi, le sante lo schivano, opponendo la vita, il desiderio, i corpi, la politica del collettivo. Le sante desiderano desiderare. Per poterlo fare assumono su di sé il dolore, ascoltano il bisogno di credere, di fare spazio ad altro, all’altro. Ad un potere che promuove ovunque la salute oppongono l’assunzione del dolore, una santità che non è sacrificio, ascetismo, fuoriuscita dal mondo ma lacerazione nel mondo, foratura, squarcio capace di aprire nuovi spazi di libertà e nuove possibilità di relazione. Ad un potere che sul criterio della salute pretende di stabilire nuovi confini tra il puro e l’impuro, che pretende di utilizzare la differenza e la separazione per stabilire chi è degno di vivere e chi no, le sante oppongono l’assunzione su di sé dell’impuro, per aprire al contagio di un desiderio, al contagio di una differenza come lacerazione assoluta, e non separazione finalizzata alla costituzione di un’identità, di una comunità, dello spazio di una specie. Assumere la differenza allo stato puro, saper stare insieme nella lacerazione, saper sostenere la tensione a condividere la divisione. Questo ci ha permesso e ci permette di provare ancora la gioia della politica, del collettivo, del moltiplicarsi dei pensieri, delle voci e dei silenzi di ognuna, bevendo té all’arancia e cannella.

 

 

 

 

 

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