Il gusto della vita degli altri - a cura di Nadia Nappo

Questo scritto è il risultato di una conversazione avuta con suor Laura, della comunità di suore comboniane, che oggi vive a Torre Annunziata, sui motivi che l’hanno portata ad  impegnarsi nel mondo con amore.

 

All’inizio ero partita spinta da un senso d’avventura, andare ad aiutare, oggi quello che mi fa muovere verso gli altri è proprio il gusto della vita, nei fatti quotidiani, nella vita di tutti i giorni,  nelle cose semplici. Ho imparato in Africa questo gusto di vivere attraverso i più piccoli incontri, ciò che è scontato e non lo è.

Avevo sentito raccontare delle miserie del mondo ed io cosa potevo fare: ho saputo che ci sono queste situazioni tanto disastrate, sono venuta a conoscenza di un altro mondo, di quello che prima non sapevo. Volevo fare e provavo anche rabbia per l’ingiustizia, perché sempre ci sono persone condannate a vivere in una grande miseria e sofferenza.

Allora lavoravo in ospedale, vedevo tanti ammalati e mi chiedevo perché proprio queste persone? Il contatto con la sofferenza mi ha fatto scattare domande esistenziali, la ricerca di un senso della vita e i dubbi verso quello che mi veniva dato e detto come vero.

Ho cominciato a percepire, attraverso la vita degli altri, un Dio più presente. Sempre più forte è diventato il desiderio di condividere la vita con chi mi circonda, camminare insieme tra sofferenze, entusiasmi, gioie come vita di tutti i giorni.

 

Sono andata in Mozambico, c’era la guerra, e lì bruciavano i villaggi. Le donne ricominciavano sempre: i villaggi  bruciavano e loro ricominciavano a costruire la casa, a cercare le poche sementi, a lavorare. Mi sono chiesta: ma come fanno, ogni volta ad avere la forza di ricominciare? Loro non si disperano ma credono nel fare, in una situazione disperata vedi segni di speranza, un attaccamento alla vita. C’è un forza di vita che a me impressionava e a poco a poco diventava anche  mia: vai con chi ha una forza d’animo e te la trasmette. Questa esperienza mi ha dato voglia e capacità di vedere quest’energia di farcela, che è presente, è bellezza, e ti ridà vita. Andiamo, ascoltiamo e loro ci donano un’altra vita, capacità di relazioni. Questo ho ricevuto.

Anche in Africa ho lavorato negli ospedali, vedevo tanta gente morire e cercavo di aiutarli a curarsi in quella situazione tanto critica. C’era molta collaborazione tra la gente e tutto il personale dell’ospedale, in questo scambio erano loro ad insegnarci tante cose. Non hanno teoria-tecnica, però hanno una grande pratica ed in condizioni così disagiate puoi imparare ad impegnarti praticamente. In ogni occasione sapevano cavarsela: apprendono da piccoli ad essere capaci di sbrigarsela da soli, hanno grandi capacità di vivere.

 

Qui, al contrario, le condizioni, il contesto ti addormentano, sia nel pensiero che nella pratica ed anche nell’entusiasmo del vivere, sei immerso in una grande confusione. Per questo devi cercare di  rielaborare la tua vita, di squilibrare quello che sembra già destinato per te.

È importante svuotarsi e avere proprie capacità di pensiero, vivendo lì ho avuto la possibilità  di fare un’esperienza che mi ha dato un altro modo di interpretare la realtà. Quello che impari tra quella gente è tanto, innanzitutto a relativizzare, comprendi che non hai nessuna cultura migliore, o comunque niente di così spettacolare. L’impatto con l’altro ti fa saltare tutta la vita e ti si apre un altro modo di ragionare, trai delle considerazioni caratteristiche della situazione, come la relazione con il tempo: il tempo non esiste, non ti condiziona. Se incontri una persona questa diventa più importante. Così prima devi capire che il tempo come viene gestito non è per il tuo bene, secondo che ci sono cose che valgono di più, terzo cominciare a farlo. È importante questo pensiero e se ti lasci provocare ti si apre un altro mondo. Basta che sai ascoltare per avere un’altra prospettiva: uscire da una esistenza omologante,  non essere manipolati, dare un altro senso alle cose che ti accadono. Adesso che sono tornata in Italia e mi trovo in un'altra situazione, mi accorgo che questa esperienza in Mozambico mi aiuta, ad esempio,  ad ascoltare ed avvicinarmi ai giovani che incontro qui .

Dalla mia esperienza capisco che spesso si va verso altri luoghi credendoli più bisognosi e perché si avverte una scissione tra sè e il mondo; per migliorare la vita degli altri si mettono a disposizione le proprie conoscenze e invece solo da lì iniziano pensieri e idee di come puoi occuparti del mondo, della natura, degli altri. Solo mettendosi a disposizione della vita puoi ripensare al fare in comune e dare maggiore attenzione a come tratti il mondo. Attraverso un forte impatto ti puoi interrogare liberamente: come faccio? Come ricomincio? Come guardo la persona umana? Come faccio a relazionarmi all’altro/a.

Le persone, che ho incontrato durante i miei dodici anni in Africa,  non hanno sovrastrutture, e  hanno un contatto diretto con la vita, con le cose semplici e quotidiane. Spesso riescono ad  aiutarci a  smontare le nostre regole e ci avviano ad una vita più diretta, quindi più vita. Se riesci ad andare verso questo svuotamento ritrovi il senso della vita. Ti spinge, in questi confusi pensieri, il desiderio, che non è andato sprecato, di voler vivere pienamente il senso della libertà, della bellezza.

 

Le donne hanno come genesi il desiderio di fare mondo, di portarlo avanti. In Africa chi porta avanti l’Africa sono le donne, che trovano da mangiare per i figli. Il desiderio di dar vita diventa libertà, bellezza, il mettersi con l’altro ed  arriva ad accettare l’altro. Tra donne c’è aggregazione, un fare con altre per sostenere la vita. È la bellezza che chiama, la relazione,  doni per ricominciare e poi ricominciare di nuovo. Stare con altri diventa la possibilità di una moltitudine, di continuare con un senso collettivo e anche imparare a ritirarsi, come la marea. Fare spazio per accogliere la vita; questa è un’esperienza vera, perché, proprio per continuare si fanno figli, diventa necessario e vivendo questa possibilità si rinnova la vita stessa, ti liberi. Si dice si alla vita perché si desidera andare avanti, non arrendersi. È una conoscenza fisica, vissuta attraverso il corpo. Ritirarsi e fare spazio, lasciare che altri entrino, proprio perché quando si fa spazio vai in relazione e dirigi l’esistenza, semplicemente guardando ciò che accade lì davanti ai tuoi occhi; così aumenta l’energia, c’è più presenza. Spesso per tante donne questa presenza c’è, si sente, anche se non  riesce a mutarsi in forza politica di relazione: più aumenta lo spazio, più aumenta la vita proprio perché aumentano le relazioni, più cresce e più diventa corpo. È la libertà di credere che ognuno/a è persona così com’è con le sue fatiche e gioie; nessuno è così a caso, gli incontri, gli avvenimenti non sono a caso, si ritrova il desiderio di esserci, di farcela. Quando una cosa si sente vera la fai diventare azione, in particolare si agisce quando senti dentro una chiamata (un’ingiustizia) e per agire la devi sentire parte della tua vita, vuoi una vita decente. Molti poveri e tanti di quelli che hanno queste situazioni così estreme agiscono per amore alla vita. C’è un allenamento a quest’amore alla vita: si muore per un niente e c’è il momento del dolore, ma poi, dopo i preparativi c’è una capacità di reazione che diventa un grande segno di resurrezione. Questa è vita che va oltre la morte, e dove trovano questa voglia, questo mi sono chiesta tutti i giorni e loro tutti i giorni trovano la forza di cominciare una giornata e sono capaci anche di farti festa quando t’incontrano. Danzano sempre se c’è un tamburo che suona; da dove viene questa energia? Ho pensato che è energia del mondo.

Queste popolazioni vivono quasi senza acqua. Durante la stagione secca, da giugno a novembre,  scavano pozzi artigianali dove c’è un po’ di verde e si presume che là sotto ci sia acqua. Nella maggioranza dei casi in molte zone dell’Africa, sono le donne  a prendere l’acqua e si caricano sulla testa tutto il fabbisogno della loro famiglia. Fanno anche 10-15 chilometri per trovarne un po’. Vanno alle quattro di mattina perché c’è sempre una lunga fila di persone. Tutti, infatti, si recano a quell’unico pozzo, la raccolgono con ogni mezzo, perfino con il bicchiere. La gente ha la straordinaria capacità di vivere usando poca acqua e una grande esperienza di come razionalizzarla evitando ogni spreco.

 

Certamente è costante in loro il pensiero di procurarsi l’acqua, la cerchi e ti industri per trovarla, perché è tanto poca. Nei nostri paesi occidentali l’acqua è un  servizio, ti è data e se per caso manca non sapresti come cavartela, impazziresti e potresti solo aspettare che torni. Ogni persona si organizza per cercarla, si scava e si fa il pozzo. Grande ricchezza è possedere la pompa: missioni e organizzazioni non governative mettono le pompe e sono loro che fanno i progetti per la distribuzione e la ricerca dell’acqua. Purtroppo gli indigeni non decidono nulla, fanno solo quello che gli esterni gli dicono di fare, perché solo questi detengono i mezzi economici, il reale governo del territorio, la gestione delle risorse. Le decisioni vere non spettano agli abitanti, a loro spettano gli “aiuti” cosiddetti umanitari. Ciò che diviene l’interesse di ogni parte è aumentare questi aiuti. Chi vive lì, quanto meno, non vuol essere abbandonato al proprio destino, e sempre più viene ridotto ad uno stato di miseria e di incapacità. Così tutta la comunità, ogni singolo abitante, dipende dagli aiuti elargiti anche se ha autonomia di materie prime, come il legname che si  procura dalle foreste e disboscare significa diventare ancor più poveri d’acqua. Solo le imprese estere riescono a organizzare le vendite del materiale, pertanto si è  ridotti alla continua ricerca del fabbisogno quotidiano, come cibo ed acqua. La collettività è ridotta a garantirsi la sopravvivenza, a vivere in uno strato di continua emergenza ed indigenza, in molti vivono addirittura nelle discariche. Parecchie case sono fatte solo di bambù e tanti bambini aspettano quando si  ritira l’immondizia per poter cercare tra i rifiuti.

In questa realtà ogni donna, sia che venga da un’altra parte di mondo, o che sia del luogo, non deve far altro che abbandonarsi al vuoto e se avverte qualcosa di nuovo impegnarsi, cercare di relazionarsi direttamente alla gente del posto, semplicemente per trovare una vita più vicina alla vita, vivere per l’incontro, così andando per strada.

 

Adesso vivo in un paese della provincia di Napoli, dove si sta tentando di fare comunicazione tra tutte le associazioni del territorio per lavorare tra più realtà. In particolare ci sono due donne che hanno molte idee e fanno molte iniziative concrete. Si cerca di mettere in moto un agire per un bene comune ed anche qui mi sento impegnata a relazionarmi con la gente del posto tenendo sempre presente la passione del darsi da fare come amore, punto di avvio, così da non diventare mai preda dell’emergenza, perché c’è veramente tanto bisogno di “fare”. Il proprio punto di forza è un continuo confronto con altri; come tuoi compagni possono farti capire se quello che fai è almeno vicino a ciò che ti eri proposto o se stai sballando. Quindi, stare in comunione, confrontarsi sempre ti porta a far punto d’esperienza, diventi testimone di ciò che accade. Ti muovi da sola e ti confronti con l’altra/o, ti ripulisci attraverso il silenzio e fai risalire la parola. Solo così traspare il desiderio. 

 

quel che torna a me (di Nadia Nappo)

Come trattiamo l’altro e il mondo? Come “è”, di quale “natura” è l’amore che sentiamo, che proviamo? Ecco, da questa intervista traspare il desiderio della vita messo in relazione. Cercare di seguire chi o cosa chiama, invoca, può far da ponte al senso, a quell’unico istante cui si arriva solo attraverso l’agire. È solo lì che vi si ha accesso. Si può fare quel che si crede vero, fuori da ogni conto. Il sacro della vita è il proprio si alla vita, inventando idee che facciano sentire distanza e ciò che è condiviso, pensieri in comune uniti da un miscuglio. È come preservare la vita a partire da un “niente”, si va incontro all’altro così facendo vuoto, trovando il respiro per vivere. Lasciare che accada, ma ogni luogo è nessun luogo, non definibile, è perché è.

Pensando a quel che provo riesco a figurarmi sempre più esseri umani desiderosi di vita, aver sete d’acqua.

L’acqua è una risorsa sempre più scarsa, rimanendo essenziale ed insostituibile alla vita dell’intero mondo; è la matrice della cultura, augurio di abbondanza e prosperità.

Le fonti si esauriscono per scavo delle falde acquifere, i bacini si prosciugano per la diffusione di monoculture, l’inquinamento sta avvelenando le fonti. Non è solo un problema di deforestazione, ma è in atto un vero mutamento di specie, un mutamento vitale.

Non si riesce a considerare le risorse naturali nella loro integrità ecologica.

Nel nostro presente si combattono sempre più guerre per il controllo dell’acqua, ma non si articolano serie politiche per tutto quello che si sta causando. Non impoverire più risorse, paesi e popoli è ciò che bisogna fare come esseri umani per proteggere noi stessi e gli altri. Ogni luogo è il luogo, ogni essere è l’essere che ha bisogno di cura e di attenzione.

Il fatto che oltre gli stati e mercati esistano comunità di esseri umani, in carne ed ossa, è qualcosa che nella logica della privatizzazione è omesso. Il diritto all’acqua non è un diritto giuridico, l’acqua più di qualsiasi altra risorsa deve restare un bene comune, comune a tutta l’umanità. Nel generarsi e rigenerarsi dell’acqua c’è una grande abbondanza di forme di vita. L’acqua è la vita stessa di ogni essere umano e non ci si può privare del bene che crea la vita stessa riducendolo a merce. Il “tesoro acqua” è in relazione al destino dei popoli.

In Sudafrica molte donne hanno lanciato un’intensa campagna per eliminare monoculture che prosciugavano le falde acquifere.  Proprio il movimento delle donne americane iniziò a ragionare sulla distruzione dell’ambiente da parte della politica dominante, non c’era trasformazione ma inquinamento. Per le donne del terzo mondo scarsità d’acqua significa maggiore distanze da percorrere e per noi donne dei paesi potenti significa, con altre donne e uomini, assumersi la responsabilità dell’acqua come bene pubblico. Per noi che l’acqua la possediamo, ma solo come servizio, per non diventare dei dominati dovremmo ancor più riempire la politica di relazioni con soggetti pacifici e tenaci, che vogliono sottrarsi da una politica d’aggressione per non mettere a rischio la vita di ognuno/a e dell’intero mondo. Aiutarsi con il proprio impegno, il proprio lavoro, il proprio sforzo.

Riuscire a posizionarsi proprio in questo squilibrio politico economico, spostarsi in un altro luogo simbolico, lì dove ci si sente chiamate, come ha fatto suor Laura e come hanno già fatto molte donne e i tanti movimenti femminili, attraverso nuove forme della politica,  dal partir da sé. Per una politica dei beni comuni ci vuole pensiero, ci vuole teoria ed un agire politico che faccia  funzionare il collettivo fuori da una logica di dominio. Ogni singolo può pensare, creando e stando in movimenti, in continua discussione e in relazione con ciò che accade. Avere scambi d’esperienza come doni non sommabili.

L’impegno che l’acqua sia un bene pubblico, mi sembra una buonissima idea, cresciuta tra la gente, con i Comitati Popolari, che ne contrastano la privatizzazione, e può essere il punto di tensione, il punto di osservazione del reale, per poter pensare al fare comunità, ad una politica collettiva.

 

Letture:

Laura Boella, Le antiantigoni del nostro tempo, Sofia. Materiale di filosofia e cultura di donne,  4, 1998, pp. 49-52.

Julia Kristeva, Bisogno di credere. Un punto di vista laico, Roma, Donzelli, 2006.

Lucia Mastrodomenico, Solo l’amore salva, Adateoriafemminista, 2, gennaio 2007.

Luisa Muraro, Dio è amore e gli piace la politica, Il manifesto, 12 febbraio 2006.

Vandana Shiva, Le guerre dell’acqua, Milano, Feltrinelli, 2003.

Angela Putino, Ciò che è invincibile in battaglia. Antigone, Sofia. Materiale di filosofia e cultura di donne, 2, 1997, pp. 7-14.

Angela Putino, Simone Weil. Un’intima estraneità, Troina, Citta Aperta, 2006.                        

Chiara Zamboni, Una contesa filosofica e politica sul senso delle pratiche, Per amore del mondo, autunno 2006.

La pace passa attraverso la difesa del bene comune, Volantino Donne in Nero di Napoli, 1 dicembre 2007.

Stiamo tornando al vittimismo?, Incontro al circolo della Rosa di Milano, 1 dicembre 2007.

Convegno “Memorie dal Pianeta. Il passato della Terra, il futuro dell’Umanità”, Anteprima per Galassia Gutenberg 2008, con la partecipazione di Carolyn Merchant, fondatrice dell’eco-femminismo, 12 gennaio 2008, Stazione Marittima, Napoli.

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